Il reato di autoriciclaggio è in questi giorni in esame alla Camera dei Deputati.
E’ un’arma in più, che in parte avevamo già all’interno del D. Lgs 231/07, che però rischia di essere spuntata.
Il rischio deriva dalla struttura del nostro sistema giudiziario, proverbialmente lento e sovente bizantino, dal sistema investigativo che coinvolge giustamente gli intermediari finanziari ma obbligandoli ad una serie di adempimenti burocratici più formali che sostanziali, producendo spesso risultati modesti rispetto alle potenzialità, nonchè da una formulazione non chiara ed interpretabile del cosiddetto “godimento personale”.
Oggi se ognuno di noi commette il reato di frode fiscale (ad esempio) e tenta successivamente di dissimulare l’illecito guadagno è punibile solo per il reato di frode fiscale (il cosiddetto reato presupposto); il reato di riciclaggio si configura solo a carico di terzi nei casi in cui vi sia il trasferimento dell’illecito guadagno verso tali terzi, i quali ne dissimulino scientemente la provenienza tramite artifizi.
Con il reato di autoriciclaggio anche chi commette il reato presupposto dissimulandone l’illecito guadagno sarà punito per la dissimulazione compiuta o tentata.
L’inserimento del reato di autoriciclaggio nel nostro codice è doveroso, il GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale, una sorta di ONU del contrasto al riciclaggio) da tempo ci chiedeva di inserirlo nel nostro ordinamento.
Tuttavia la forma rischia di non essere sostanza.
Cosa si deve fare per intercettare i capitali illeciti? E come arrivare ad una sentenza definitiva?
Oggi, senza entrare in noiosisimi dettagli, il combinato disposto dei decreti legislativi 231/01 e 231/07 responsabilizza gli intermediari nell’individuazione dei capitali illeciti.
Agli intermediari sono demandati diversi obblighi che spesso si traducono però solamente in una serie di adempimenti burocratici e di complicate quanto inutili registrazioni in archivi diversi che sovente poi non vengono presi in considerazione da parte dell’autorità giudiziaria in sede di indagine, traducendosi in uno spreco di tempo e risorse che meglio si potrebbero utilizzare nell’individuazione e nella segnalazione delle operazioni sospette.
E’ il caso, ad esempio, dell’AUI (Archivio Unico Informatico), un complicato sistema antelucano dove solo alcune operazioni vengono registrate, tale sistema avrebbe dovuto essere sostituito dalla nuova Anagrafe dei Rapporti, dove secondo le intenzioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze tutte le operazioni avrebbero dovuto essere registrate.
L’anagrafe dei rapporti insieme al cosiddetto redditometro avrebbe un’enorme potenzialità repressiva nei confronti dei reati in materia fiscale, ma le disposizioni regolamentari necessarie non sono ancora state completamente emanate, quindi gli intermediari si trovano ad utilizzare due archivi entrambi parziali e (per quanto riguarda l’AUI) inutili.
Se analizziamo poi le decine di migliaia di operazioni sospette segnalate dagli intermediari solo poche danno origine a procedimenti penali ed ancora meno arrivano a sentenza definitiva passata in giudicato. Questo avviene per una serie di fattori in primis l’arcinota lentezza del sistema giudiziario italiano che conduce sovente alla prescrizione del reato
La legge ex-Cirielli ha normato la tempistica di prescrizione agganciandola al limite massimo della pena edittale, (se un rato ha una pena massima di 10 anni la sua prescrizione si avrà quindi in 10 anni) con un minimo di 6 anni per i reati con pena massima inferiore a tale limite.
Il reato di riciclaggio si punirà con una reclusione da 2 a 8 anni in presenza di un reato presupposto con pena superiore a 5 anni, e con una pena da 1 a 4 anni in presenza di un reato presupposto che preveda una pena inferiore a 5 anni.
Ne consegue che la prescrizione potrà variare da 6 a 8 anni, a volte troppo pochi per arrivare a sentenza passata in giudicato in cassazione.
In questi giorni sui giornali sono comparsi molti articoli dove si sosteneva che, visto che il reato di autoriciclaggio si produce al momento dell’immissione delle somme in altra attività (reinvestimento) tale reato sarebbe perseguibile anche molto dopo la commissione del reato presupposto.
Ovvero avendo evaso il fisco 10 anni fa ma reinvestendo i proventi oggi si produrrebbe ugualmente il reato di riciclaggio, nonostante il reato di frode fiscale sia prescritto.
In questo caso però viene in soccorso la nozione di “godimento personale”, ovvero non vi è autoriciclaggio se le somme ottenute attraverso un’attività illecita non vengono impiegate in altre attività ma solo per il proprio piacere (mi copro un Rolex, la barca, la casa, la spesa al supermercato, ecc).
Utilizzando tale nozione sarà sufficiente frazionare le somme illecitamente guadagnate facendole confluire in conti ove siano presenti anche delle disponibilità lecite, compiendo un’operazione di cosiddetto “doppio riciclaggio”.
Infatti, tornando al caso di scuola della frode fiscale commessa 10 anni fa, se all’epoca le somme illecitamente ottenute fossero state immesse tutte (o meglio in parte) in un conto (o meglio più conti) con anche disponibilità lecite, sarebbe impossibile dimostrare oggi, dopo 10 anni, che si stiano utilizzando proprio i fondi illecitamente ottenuti, e non altri perfettamente leciti presenti sul medesimo conto.
Potrà sempre essere portata la giustificazione che le somme illecite sono state già spese in altre operazioni lecite o per le quali sia già intervenuta la prescrizione.
Il reato in questo modo potrebbe essere quindi o impossibile da dimostrare o comunque prescritto.
In conclusione è certamente meglio prevedere il reato di autoriciclaggio piuttosto che non prevederlo, ma se non si affronterà il tema epocale e troppo spesso rimandato di una radicale riforma della giustizia snellendo e efficientando i procedimenti, e rendendo le norme più chiare, più comprensibili e meno interpretabili, l’effetto deterrente della norma potrebbe rivelarsi assai scarso.
Alberto Poli